…dentro la stanza arancione. Nel letto 13 dove vive l’amore

stanza arancione

Ogni volta che entro dentro un ospedale esco svuotata ma piena allo stesso tempo. Raccolgo sfumature e le faccio mie. Anni addietro mi sono trovata a scrivere di una stanza con il soffitto a pallini marroni dove una moglie imboccava  il marito ormai morente. Oggi, invece, voglio raccontarvi dell’amore di un marito verso la moglie.

Non ho contezza dell’età. Lei però giace su un letto. Il letto numero 13. Si lamenta. L’ago cannula le getta in vena una soluzione di glucosio del lotto 16F16L01 che scadrà nel maggio del 2018. Si lamenta, tra le lenzuola, invocando il nome di una persona cara defunta. Dentro la grande stanza del secondo piano, l’ultima del corridoio, sedie, comodini e armadi sono tinti di colore arancione. Un colore, l’arancione, simbolo di armonia interiore, di creatività artistica e sessuale, di fiducia in se stessi e negli altri. L’arancione che simboleggia la comprensione, la saggezza, l’equilibrio e l’ambizione.

Ha i capelli biondi e le unghie lunghe. Fantastico e la vedo da giovane. La vedo ben pettinata e con le unghie smaltate di rosso.

Magari ho una visione distorta, ma è l’unica che riesco a farmi dai racconti che sento. Al suo fianco c’è l’amato marito, e lei sembra trovare riposo solo quando lo percepisce vicino. Lui la guarda come se lei avesse ancora venti anni. La guarda con amore e, allo stesso tempo, con tenerezza.

Lui si preoccupa per lei. Si preoccupa a tal punto da pensare che se la morte dovesse prima bussare alla sua porta, la sua adorata moglie resterebbe sola.

La guarda. Le carezza i capelli. Le stringe le mani. Le sussurra qualcosa. Lei, purtroppo, quelle parole pare che non le sente affatto. Il suo udito negli ultimi giorni pare essersi dissolto nel nulla. Uscirà presto dall’ospedale. Abbandonerà presto il letto numero 10 di quella stanza tinta d’arancione. Tornerà alla sua vita normale fatta di piccole grandi cose. Alla sua vita accanto al suo amato uomo.

Mi soffermo con un nodo alla bocca dello stomaco. Vorrei abbandonare quella stanza correndo e stringendo nel pugno le mie dannate sigarette. Vorrei scappare e, magari, piangere per la tristezza. Ma non ci riesco e resto dentro quella stanza dalla temperatura quasi tropicale. Resto dentro perché mi sento avvolta dall’amore. Dall’amore vero. Dall’amore di occhi che mi guardano mentre avrò sicuramente la faccia da cretina, ed i capelli spettinati per la mia mania ossessiva di passarmi la mano tra le ciocche colorate per placare la mia maledetta ansia.

L’aria calda mi impedisce di respirare tranquillamente. Io e la mia fottuta ansia cammineremo sempre insieme finché morte non ci separi, purtroppo.

La stessa aria calda però mi fa ritrovare sempre gli occhi che profumano di casa. Che mi rassicurano dicendomi che va tutto bene. Gli occhi che mi hanno stravolto la vita rendendomi un’altra e regalandomi quello che non ho mai avuto nella vita. Gli occhi che mi guardano. Gli occhi d’amore.

E sono questi i momenti quando pensi che l’amore, quello vero, è il motore del mondo. Si. L’amore, quello vero, quello che arriva e ti stravolge, come è successo alla signora del letto numero 13 dell’ultima stanza del secondo piano dell’ospedale, che ti fa rinascere. Come è successo a me.

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