… avevo lo smalto rosso quando ho guardato per l’ultima volta gli occhi di mio padre

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…mancano 335 giorni a Natale. Si, mancano 335 giorni avete letto bene. Perché io questo Natale non l’ho avvertito assolutamente.  Ci eravamo lasciati giorno 10 dicembre dopo la diretta Facebook. Avevo tolto il trucco. Preparato una camomilla arancia e miele. Indossato il pigiama. Fatto le solite telefonate per le buona notte di rito. E Morfeo mi aveva accolta tra le sue braccia. Avevo guardato le mie mani, e l’ultima cosa che ricordo, prima di essermi addormentata erano le mie unghie laccate di rosso.

Poi una telefonata, alle 2.56. Era mio padre. Una telefonata di 15 secondi. Non ricordo cosa ho indossato. Non ricordo cosa ho preso con me prima di entrare in macchina. Non ricordo nemmeno di aver guidato. Ricordo solo di aver chiamato il 118 e poi di nuovo mio padre… ma il suo telefono squillava a vuoto. Non ricordo nemmeno come ho fatto ad aprire la porta di casa sua e non ricordo nemmeno a quale velocità ho fatto le scale. Ricordo solo che siamo riusciti a guardarci negli occhi.

E poi il vuoto. Un delirio folle di urla. Crisi di nervi. Panico e ancora urla. L’arrivo del personale sanitario completamente bardato. La corsa folle verso l’ospedale. Ricordo che ho sentito uno scatto al cuore quando ho spento la macchina per correre verso il pronto soccorso. E quello scatto al cuore ha spento ogni speranza ancora prima di ricevere notizie.

Qualcuno parla di “sangue”. Qualcuno, invece, parla di istinto. Io non ho ben capito, ancora, cosa sia… ma di certo ho avuto la consapevolezza che quella notte molte cose sarebbero cambiate in maniera irreversibile e per sempre.

Mi hanno chiamata mentre camminavo nervosamente fuori dall’ospedale. Davanti ai miei occhi c’erano tre medici. Mi è bastato vedere tre persone per capire quello che avevo già sentito dentro di me. Ho indietreggiato perché non volevo sentire quella parola. E mi sono accasciata sul pavimento. Il mio corpo ha iniziato a non rispondere
più a nessun comando. Di quella notte, oltre alla follia ricorderò sempre gli occhi di una dottoressa, Valeria, che si è avvicinata, bardata, “poggiando” il suo cuore al mio. Solo dopo ho scoperto il cognome di quella ragazza, di cui al momento conosco solo gli occhi, ed ho deciso di ringraziarla pubblicamente nonostante la tempesta che
si è abbattuta sulla mia vita. Ho ringraziato e continuerò a farlo 
sempre la dottoressa Valeria Ficara per l’umanità e il garbo. Qualche idiota ha sostenuto che il garbo fosse dettato dal mio mestiere… ma credetemi, quella notte nessuno avrebbe mai e poi mai potuto riconoscere chi ero.

Una notte di follia con un’unica certezza. Mio padre era morto. Il suo cuore, nonostante i mille controlli, non ha retto più. E quando ci
siamo guardati per l’ultima volta, avevo lo smalto rosso.

Ho lasciato l’ospedale senza neanche poterlo vedere per via dei protocolli anti Covid. Non ricordo niente. Niente. Il resto è come se fosse chiuso dentro un compartimento stagno che si apre leggermente buttando fuori, giorno dopo giorno, piccoli ricordi.

Tutto avrei potuto immaginare ma non di perdere mio padre così, di botto. Perché insieme a lui sono morti i conflitti. Urla. Liti. Risse. Risate idiote. Il mio essere genitore ed il suo essere figlio. Lui eterno sognatore, io con la testa sulle spalle. Lui testardo ed io ancora di più. Lui nato per essere figlio, ed io no. Lui innamorato di Elvis Presley ed io della musica hip hop. Un rapporto conflittuale, il nostro, che chi mi legge conosce da tempo.

L’ho salutato per l’ultima volta al cimitero, mio padre. L’ho salutato prima di esaudire il suo ultimo desidero, ovvero essere cremato. Ridevamo molto poco in vita, ma quando l’ho salutato sembrava accennasse ad un mezzo sorriso. “Buona Notte papà”. L’ho salutato così per l’ultima volta, senza aggiungere il solito “a domani” (e credetemi
che “a domani”… è la frase più bella del mondo). E quando l’ho salutato, proprio quando ci siamo guardati per l’ultima volta… avevo
lo smalto rosso. E lui ne sarebbe stato felice.

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