… a Michele che tre anni addietro si è lasciato cadere nel vuoto

Michele Ruffino

Vi è mai capitato di essere così nervosi da non riuscire a stare fermi sul divano? Alzi la mano chi non lo ha mai provato, soprattutto quando alla televisione si ascoltano cose improponibili.

Da grande cultrice della cronaca nera ieri ero sintonizzata su “Chi l’ha visto?” Che dire? Forse l’unico termine esatto è RACCAPRICCIANTE.

Andiamo oltre la storia dei due badanti scomparsi per sette anni (che non sono mica due giorni eh). Storia sulla quale si potrebbe scrivere un libro, e passiamo alla storia di Michele Ruffino. 17 anni, di Torino.

Da quando è un bambino Michele non riesce a stare in piedi e nonostante le molteplici visite ed esami non riesce a migliorare.

Ha una famiglia alle spalle Michele. La stessa famiglia che un giorno scopre da cosa dipende  il malessere di Michele: una ipotonia agli arti superiori ed inferiori.

Non si tratta di una casualità ma della conseguenza di una somministrazione di vaccino scaduto.

Michele è uno tosto e nonostante tutto riesce a camminare senza cadere. Ci riesce a stento ma ci riesce. E’ un giovane curioso Michele Ruffino,  come ogni giovane della sua età. Studia. Apre un canale YouTube per comunicare con gli altri giovani. Ama cucinare.

Ma come nella peggiore delle storie di una società perversa Michele non viene apprezzato dai suoi coetanei che anzi decidono di bullizzarlo.

Risate. Insulti. Offese. “Ecco l’handicappato” è così che lo chiamano i “fenomeni” che nell’ora di educazione fisica si permettono anche il lusso di sputargli addosso.

Ma questi grandi “fenomeni” non si limitano e continuano con “gay” (come se fosse un problema… in realtà non lo è neanche handicappato, direi a questi amabili signori).

In famiglia non riesce a mentire, racconta degli insulti  e viene incoraggiato a rispondere alle offese con la sua intelligenza ed educazione… ma non basta.

Michele il 23 febbraio di tre anni fa sta pranzando con la sua famiglia. Si veste per fare un giro in città ma non rincasa. La madre lo chiama al cellulare e lui la tranquillizza dicendo che sarebbe tornato a breve.

Michele però a casa non è più tornato. Alla madre i carabinieri comunicano che “Michele è morto, si è gettato giù da un ponte ad Alpignano”.

Ma Michele, prima di lanciarsi del vuoto, aveva scritto una lettera d’addio ad un amico, consegnandola ad una ragazza.

La lettera prima passa da mille mani  di altri giovanissimi che invece di avvisare la famiglia Ruffino o gli insegnanti restano nel silenzio, consapevoli del fatto che avrebbero potuto salvargli la vita (lo ammette uno dei giovani in un audio diffuso dalla trasmissione di Rai 3).

E la cattiveria non si ferma. Corre come un fottuto treno ad alta velocità. E travolge le orecchie di un parente di Michele proprio durante il suo funerale.

Davanti ad una bara bianca, davanti ad una foto commemorativa, qualcuno ha esclamato: “Ma questo in foto non è Michele, lui era storpio. E’ meglio in foto che da vivo”.

Ma dove cazzo siamo finiti?

Ci meritiamo davvero l’estinzione?

I parenti querelano ed il magistrato chiede l’archiviazione motivandola: “Commento infelice, ma era la realtà che tutti conoscevano e che faceva soffrire Michele”. Parole, quelle scritte da un magistrato, incommentabili. Perché si scadrebbe nel turpiloquio più totale.

Michele è morto.

Si è lanciato giù da un ponte, vittima di bullismo, a 17 anni.

Ha deciso di spegnere la sua vita, perché il sorriso glielo avevano già spento  i “bulli”.

E adesso la sua famiglia, a distanza di tre anni, chiede solo giustizia. Una giustizia che non mandi in carcere qualcuno. Una giustizia che miri alla rieducazione di chi ha provocato la morte di Michele.

Ed ora c’è la “Miky Boys”. Un’associazione nata nel nome di quel 17enne e che mira alla sensibilizzazione dei più giovani alla lotta contro il bullismo.

Guardo ancora la foto di Michele. E penso che potrebbe essere un nostro familiare. Un nostro amico. E penso a quanto siamo fottutamente crudeli. Penso a quanto dolore ha provato Michele a dover lottare anche contro l’ignoranza. Penso alla sua famiglia. Penso a quanto tutto sia schifosamente tossico. Penso a quanto le parole facciano male.

E sogno ancora, nonostante tutto, un mondo migliore. Perché si può cambiare. Perché si deve cambiare. Perché non tutti anche davanti alla morte si permetterebbero mai di scrivere sul canale social di una PERSONA: “Era uno sgorbio ritardato… ha fatto bene a suicidarsi così! Rapido e indolore perché tanto prima o poi lo avrebbero scannato di botte”.

Neanche il Covid è riuscito a cambiare i nostri animi… ma io, credetemi, da povera illusa… ci credo ancora che qualcosa possa cambiare.

Scusaci Michele se puoi… ovunque tu sia adesso scusaci.

Perché la vera disabilità non era certo la tua.

 

 

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